Ho già evidenziato nel post precedente l’opportunità di
valutare le scorte a costo standard per una rigorosa e non troppo complessa
analisi delle varianze industriali. E’
altresì evidente che tale tipo di valorizzazione spesso non sia accettabile dal
punto di vista dei principi contabili, sia internazionali che locali e che quindi una
valorizzazione agganciata ai costi effettivi sia comunque necessaria. Se si
aggiunge il fatto che la maggior parte delle grandi aziende sia obbligata (da
casa madre, da regole legate alla quotazione in borsa o semplicemente dalla
volontà del management) a chiusure contabili infrannuali, l’argomento non va a
mio avviso sottovalutato.
Le diverse modalità di valutazione: impatto sull’analisi della performance
Il risultato economico, e con esso le misura di performance
rispetto al budget, dipende in una certa misura, e nel breve/medio periodo, dalla modalità di valutazione delle rimanenze.
In caso di valorizzazione a standard,
qualsiasi varianza ha ovviamente impatto sul conto economico nel momento
stesso in cui essa si manifesta: per le varianze di acquisto all’atto dell’entrata a magazzino
(con eventuale correzione al ricevimento della fattura di acquisto), per le varianze di trasformazione alla chiusura dell’ordine di produzione. Le funzioni aziendali responsabili delle
varianze sono in grado di legare facilmente le stesse con i fatti che le hanno
originate, quindi possono spiegarle e attuare i necessari interventi correttivi.
In caso di valorizzazione a costi effettivi le varianze
sono “diluite” a magazzino, impattando
il conto economico solo quando il prodotto finito in cui le varianze di
acquisto e trasformazione sono contenute viene venduto. Il rilascio di queste
varianze avviene gradualmente e , in funzione delle specificità del business e
della modalità di valutazione, anche fino a svariati mesi dopo il loro
verificarsi.
A titolo di esempio, in caso di forti aumenti dei prezzi dei
materiali, non previsti dal budget, la varianza sfavorevole potrebbe avere un
impatto a conto economico limitato o nullo nel primo mese di aumento, nel caso
in cui il prodotto venduto sia stato fabbricato precedentemente all’aumento del
prezzo di acquisto. L’impatto crescerebbe progressivamente con il passare del
tempo. In una realtà produttiva (particolarmente in caso di distinta base a
molti livelli) tracciare il modo in cui il rilascio avviene è estremamente complicato, prevederlo virtualmente
impossibile.
Tengo a sottolineare che l’effetto sopra descritto è
puramente contabile e non ha chiaramente alcun effetto sulla performance
aziendale di lungo periodo . Non faremo andare meglio o peggio un’azienda
modificando il modo di valutare le scorte. D’altro canto, il risultato di
esercizio rilevante all’esterno è quello che deriva dalla valorizzazione a
effettivo. E’ quindi necessario trovare una modalità per tracciare
efficacemente la performance e nello stesso tempo riconciliare i conti
economici “statutory”.
Far convivere le due modalità
L’esperienza sul campo su questo tema mi ha portato a provare
diverse strategie: quella che ho personalmente trovato più soddisfacente è il “doppio
binario”: da una parte impostare nell’ERP aziendale una modalità di valutazione
basata sui costi effettivi (tipicamente un costo medio ponderato, adatto sia a
requisiti locali italiani che IFRS), dall’altra impostare, attraverso una
personalizzazione, l’analisi delle performances su una valutazione a standard delle rimanenze.
A rigor di logica, per l’impostazione di un sistema di
controllo non è necessario valorizzare i magazzini, bensì la variazione di magazzino nel periodo in
esame, che altro non è che la somma algebrica di tutte le transazioni avvenute
in quel periodo. Ciò è il sottoprodotto della valorizzazione a
standard di dettaglio necessaria per l’impostazione di un’analisi varianze
strutturata.
Il risultato della suddetta analisi non è riconciliato con
il conto economico, perché manca ancora l’effetto economico della dinamica
delle varianze “inglobate” nel magazzino. Tale informazione si ottiene
confrontando la variazione di magazzino calcolata a standard e quella relativa
alla valorizzazione ad effettivo (rimanenze finali meno rimanenze iniziali). E’
a tutti gli effetti una varianza, ma non ha molto senso assegnare una responsabilità per essa.
Pianificare l’effetto del valore delle scorte
Come accennavo in precedenza, l’effetto della diluizione
delle varianze nel valore di magazzino è veramente complesso da calcolare e da
prevedere. E’ comunque necessario almeno farsene un’idea in fase di budget, in
particolare se si è in presenza di forti variazioni dei prezzi di acquisto e di
bassa rotazione del magazzino.
Lungi da me l’idea di consigliare un calcolo analitico,
vorrei suggerire una modalità semplice ed empirica. L’idea è raggruppare gli
articoli a magazzino secondo classi le più possibili omogenee dal punto di
vista della variazione attesa di prezzo e assegnare ad ognuna un indice di rotazione
e un indice di prezzo atteso mensilizzato. Partendo da un valore di rimanenza
iniziale si può provare a proiettare in modo grezzo l’effetto di una variazione
di prezzo nei vari mesi, come proposto nel foglio di lavoro qui sotto (copia
del foglio è scaricabile qui).
L’esempio si basa su una valorizzazione a costo medio
ponderato su base mensile (rimanenza inizale del mese mediata con le entrate
del mese stesso), il valore delle scorte
è mantenuto costante per semplicità, ma si può modificare intervenendo sul
foglio di lavoro, come tutte le celle in giallo.
L’indice di variazione del prezzo per i prodotti finiti è la
risultante degli aumenti attesi sulle materie prime più il ritardo indotto
dalla permanenza a magazzino. Stimarlo richiede un bello sforzo di fantasia, si
può provare ad utilizzare l’indice medio ottenuto applicando il metodo di cui
sopra sulle varie classi di materie prime
e applicarlo in funzione del loro peso medio all’interno del prodotto
finito in esame.
Le differenze di valorizzazione così ottenute potrebbero
essere introdotte nel processo di budget come varianza pianificata “lumpsum” . Per me del tutto sconsigliabile introdurle
come correzione nei singoli costi standard.
Conclusioni
La legittima richiesta del management al controller è di
conoscere i motivi per cui il risultato (comunicato all’esterno) non è stato
coerente con il budget. Compito del controller è secondo me comunicare
efficacemente queste informazioni focalizzandosi su reali fatti di gestione e
sulle possibili azioni di miglioramento, e informando su effetti contabili, peraltro
ineliminabili, quantificandone l’effetto sui conti. Gli spunti sopra riportati
sono orientati in questo senso. Mi rendo conto che l’approccio potrebbe non
essere condiviso, e sarà per me molto interessante conoscere opinioni e strategie alternative.